
La regola di base prescrive che il dimensionamento degli acquedotti debba assolutamente essere in funzione diretta della portata massima prevedibilmente richiesta dall’utenza. Ovviamente si tratta di un concetto valido per cui, allo scopo di una maggior sicurezza del rifornimento di una materia così determinante come l’acqua potabile, si tende anche a maggiorare la portata di progetto applicando un coefficiente pari almeno a 1,5.
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Stabiliti in tal modo i concetti fondamentali ritengo opportuno sviscerare il problema considerando un altro fattore molto importante come le variazioni statistiche del consumo dell’utenza durante un’annata tipo, variazioni che sono ben rappresentate dal grafico della figura n.1. Vi si evince che le richieste d’acqua di valore elevato rispetto alla media in realtà si verificano molto raramente nel mentre nella stragrande maggioranza dei casi si hanno consumi bassi e molto bassi, arrivando alla conclusione che un insieme acquedottistico giustamente realizzato per riuscire a far fronte all’emergenza, risulterà costituito da strutture di entità notevole in tutte le sue componenti e quindi avrà fonti, condotte di adduzione e di rete, serbatoi di accumulo, pompe di sollevamento ecc. ecc. di grandi dimensioni e caratterizzate da costi elevati sia di costruzione che di esercizio, pienamente giustificati dal fatto di dover in ogni caso essere in grado di colmare le richieste eccezionali. Per la stragrande maggioranza del tempo durante l’anno ed al di fuori dei brevi periodi critici che vi si verificano solo raramente, tali strutture risulteranno inutilmente elevate dando origine ad una serie di inconvenienti, spesso sottovalutati e che vanno ad aggiungersi a quelli dei maggiori costi già descritti. Ora, se il fatto di produrre e distribuire una portata molto spesso inferiore a quella di dimensionamento non provoca problemi, così non accade per la pressione di funzionamento in quanto sia il pompare ad una pressione sovrabbondante e sia l’avere una rete composta da condotte di diametro abbondante comporta, oltre a richiedere inutili spese di sollevamento, perdite d’acqua molto elevata e guasti di linea più numerosi. La prova è data dalla elevatissima perdita (circa il 50%) d’acqua potaboile accusata dagli acquedotti italiani i quali in gran parte seguono le regole di dimensionamento anzidette.
Si deve concludere che le regole classiche indicate e sicuramente valide e quindi da rispettare in toto, devono però essere adattate alla mitigazione degli aspetti negativi descritti e ciò può razionalmente ottenersi evitando la realizzazione di sistemi idropotabili rigidi a favore di soluzioni elastiche le quali consentano agli impianti di lavorare in tutte le condizioni di portata sia massime che minime con rendimenti sempre ottimali e quindi con giusto bilanciamento tecnico-economico tra dimensionamento delle strutture e portate da recapitare all’utenza in modo diversificato.
Un esempio lampante di modalità di funzionamento rigido poste a conforto diretto con quelle elastiche è dato dall’acquedotto alimentato da vasca di carico confrontato con quello ad immissione diretta in rete a pressione regolata. Nel primo caso la rigidità è massima in quanto la vasca di carico vincola la pressione iniziale di rete, nel mentre nel secondo caso le pompe a velocità variabile di immissione diretta possono sia aumentare la pressione di esercizio nel caso si abbiamo zone sottoalimentate e sia diminuirla quando si registra un eccesso di pressione di rete come accade ad esempio a notte fonda. Tutto ciò si traduce in un miglior funzionamento con minori spese energetiche e minori perdite occulte di rete e guasti di condotta e, come si vede, può essere raggiunto utilizzando la moderna tecnologia e specialmente impianti di telecontrollo e telecomando atti alla regolazione in tempo reale di tutte le strutture ed inoltre impiegando apparecchiature a portata e pressione variabili e con rendimenti sempre ottimali come sono quelle ampiamente descritte nel sito.