
Il Decreto Legislativo 2 febbraio 2001 n. 31, indica un valore minimo di 0,2 mg/l di disinfettante residuo (ipoclorito di sodio conforme alle norme UNI UNI EN 901:2002) inteso al punto di messa a disposizione dell’acqua all’utente. Sono queste le regole che, se da un lato forniscono la prova della potabilità dell’acqua consegnata agli utenti , dall’altro lato contribuiscono a peggiorare notevolmente le sue caratteristiche organolettiche, a pregiudicarne alcuni usi per il persistere in essa di una pur minima quantità di cloro , ed infine ad aumentare i costi di esercizio degli acquedotti. Avendo chi scrive questa nota, collaborato per decenni alla gestione di alcuni importanti acquedotti nei quali non veniva usato alcun correttivo o disinfettante senza che per questo si verificasse inconveniente alcuno nell’utenza, anzi mettendole a disposizione dell’acqua ottima sotto ogni punto di vista, vien da chiedersi : ma è proprio necessario questo spreco di prodotti chimici oppure, a prezzo di adottare particolari cure nella gestione degli impianti, è possibile distribuire l’acqua senza il cloro? Ed ancora: la presenza costante e continuativa di cloro residuo nelle reti acquedottistiche è soltanto una precauzione eccessiva a tutela dei responsabili del servizio idrico? Le considerazioni da fare sono di due ordini e riguardano la qualità dell’acqua alla fonte e le modalità da seguire per la sua distribuzione. Nel primo punto sono da distinguersi due casi. Il primo si riferisce a quelle fonti dalle quali si possono captare acque di per sé potabili senza correttivi di sorta. Quando tale fortunata condizione non è affatto verificata è necessario annettere alle fonti le apparecchiature di trattamento dell’acqua le quali provvedano a renderla potabile. E si arriva alla condizione essenziale di avere comunque disponibilità di acqua di ottima qualità la quale, in quanto tale, non richieda assolutamente alcun ulteriore trattamento ma solo di essere protetta da inquinamenti e più generalmente di immissioni di qualunque tipo nelle tubazioni.
L’attività da svolgere da questo punto in poi è l’adduzione dalle fonti alla rete di distribuzione e da qui fino al domicilio dell’utenza, attività che in questa nota si vorrebbe avesse luogo senza bisogno di clorazione. Le regole da seguire a tale scopo e che devono garantire da qualsiasi possibilità di alterazione dell’acqua, comprendono una serie di accorgimenti che, se attuati con la necessaria cura, danno risultati sicuri. La prima cosa da fare è una accurata sigillatura di tutte le strutture destinate all’accumulo sia momentaneo che duraturo dell’acqua, sigillatura che un tempo veniva condotta a buon termine cospargendo la superficie esterna di tutti i manufatti come vasche di raccolta, pozzetti ecc. con calce viva sciolta in acqua ma che in epoca attuale può essere fatta anche con prodotti nuovi di sicura efficacia. Il secondo provvedimento essenziale è l’igiene di tutte le apparecchiature meccaniche che vengono a contatto con l’acqua ed anche curando in maniera ossessiva la salubrità dei luoghi di allocazione delle macchine e di permanenza del personale di servizio impedendo l’accesso di animali e di insetti sia terrestri che volatili con le normali cure che vanno dalla chiusura ermetica delle aperture di collegamento con l’esterno e la purificazione anche meccanica e chimica dell’aria. Infine un provvedimento basilare è la garanzia che tutte le condotte sia di adduzione che di distribuzione dell’acqua lavorino costantemente in pressione . Sarà la pressione rigorosamente mantenuta in condotta che impedirà che, attraverso le immancabili fessurazioni presenti nelle tubazioni e negli apparecchi idrici, possano entrare insetti o sostanze di qualunque tipo. Quando per necessità di esercizio sia necessario mettere fuori servizio una condotta o una qualunque apparecchiatura, prima di rimetterla in servizio è necessario disinfettarla con lunghi contatti con abbondanti quantitativi di cloro fatti seguire da energici lavaggi atti non solo ad eliminare il cloro ma anche a sostituire tutto il volume d’acqua con nuova acqua pulita. Allo scopo gli acquedotti dovranno essere attrezzati per le clorature di emergenza sia di tipo locale che generale di tutta la rete e che possono rendersi necessarie ed urgente in caso di presenza di inquinanti denunciati dal sistema di controllo igienico. Diventa quindi interessante leggere la mia nota nella quale attribuivo una importanza particolare alla sostituzione dei contatori privati di utenza in quanto ritenevo utile potessero servire anche al controllo igienico dell’acqua fornita a determinati utenti scelti in modo da poter tenere sotto controllo l’intera rete.

Le conclusioni di questa nota possono essere ribadite dal presupposto fondamentale che impone l’impiego di acqua potabile e sterilizzata fin dal suo punto di produzione iniziale. Tutto ciò considerato, da quel momento in poi non deve esservi più alcuna necessità di ulteriori trattamenti o sterilizzazione in quanto devono assolutamente essere gli impianti idraulici, meccanici, elettrici e di rete ad essere razionalmente costruiti e mantenuti in modo da escludere ogni possibilità di inquinamento o di peggioramento delle qualità originarie possedute alla fonte, come detto. La rete dovrà inoltre essere munita di apparecchiature diffuse per il controllo continuativo delle qualità dell’acqua. In altri termini ritengo che non si possa far rientrare la clorazione tra i metodi di controllo della qualità dell’acqua consegnata all’utenza ; secondo me è sbagliato spendere soldi in impianti di clorazione la cui efficacia si ferma alla sola verifica della avvenuta sterilizzazione della rete. Molto meglio sarebbe impiegare i fondi nella installazione e gestione di sistemi diffusi in tutto il territorio servito per il controllo chimico e batteriologico dell’acqua che arriva all’utente.
Tutto ciò rappresenta solo un’utopia contraddetta però da un esempio inoppugnabile: l’acquedotto di Venezia, pur con tutte le difficoltà proprie di un territorio così difficile, con una rete di condotte ubicata totalmente sotto l’acqua marina, con mille canali da attraversare con le tubazioni, purtuttavia dall’anno 1890 di costruzione fino all’anno 1973 di municipalizzazione del servizio idropotabile non ha mai contenuto una sola goccia di cloro. L’ottima acqua bevuta nel frattempo dai veneziani è la stessa che oggi devono acquistare in bottiglia perché quella dell’acquedotto, causa il cloro presente è da loro bevuta solo raramente.