Il progetto di un’opera rappresenta la traduzione pratica di un’idea e come tale è spesso interessante prima di tutto per l’utilità reale che se ne potrà ricavare ed in secondo luogo per coloro che esaminando il progetto riescono ad ottenerne in anticipo un’idea esatta dell’opera che verrà costruita. Lo è ancora più interessante quando si tratta di innovazioni per il continuativo progresso del vivere civile che ne deriva e per la maggior curiosità che destano le opere nuove. Ne fa negativo riscontro quel margine di dubbio che è proprio delle novità medesime e che potrà essere definitivamente fugato solo dalla loro effettiva realizzazione pratica e dal buon esito della loro utilizzazione reale .

Un esempio significativo è rappresentato da “lo sbarramento mobile di foce” opera senz’altro innovativa progettata da chi scrive e, a quanto risulta, mai realizzata con gli scopi previsti in progetto. Consisteva essenzialmente nella utilizzazione della parte finale dell’alveo dei fiumi allo scopo di potervi ricavare diversificati ed importanti risultati quali sono la costituzione di un grande bacino di accumulo e di impedire tassativamente la risalita del cuneo salino lungo l’asta del fiume che , in periodi particolarmente siccitosi, crea gravi danni impedendo l’utilizzazione delle acque per scopi irrigui ed anche potabili. Un altro scopo raggiungibile è creare il riciclo delle acque reflue che gli impianti della fognatura dei centri posti lungo il fiume restituiscono al corso d’acqua dopo la depurazione.
Il sottoscritto ritiene che la realizzazione di sbarramenti come quello brevemente indicato, costituirebbe una grande risorsa mettendo a disposizione degli acquedotti grandi quantitativi d’acqua soprattutto nei periodi di crisi dovuti a prolungate e gravi siccità ma, come già indicato, tali risultati non si sono ancora potuti constatare di fatto non risultando ancora costruite barriere nei fiumi se non al solo scopo di fermare la risalita del cuneo salino.

Ha fatto piacevole sensazione un avvenimento accaduto anni or sono e che fornirebbe la prova effettiva di cui sopra, quando è apparsa sulla stampa la notizia del nuovo uso che si intendeva di fare dello sbarramento del Tamigi originariamente costruito a valle di Londra al solo scopo di proteggerla dagli allagamenti dovuti alle alte maree che avvenivano una o due volte l’anno. Per evitare i gravi danni che essi provocavano sistematicamente si era deciso di realizzare un’opera grandiosa, visibile nelle foto allegate, la cui chiusura isolava dal mare tutta la parte superiore del grande fiume impedendo la risalita dell’acqua salata e quindi proteggendo la capitale dai citati allagamenti. Ovviamente per tutta la durata della chiusura e quindi per i periodi abbastanza brevi che caratterizzano l’alta marea, l’acqua che proveniva da monte si accumulava nell’alveo del Tamigi provocando un aumento dell’invaso totalmente contenibile dagli argini e che poteva agevolmente essere scaricato al sopravvenire della bassa marea.
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E’ accaduto che il verificarsi di tale notevole accumulo d’acqua dolce ha fatto percepire ai tecnici la possibilità di una sua utilizzazione più frequente provocando ad arte una chiusura parziale ma continuativa delle paratoie in modo da mantenere costantemente rincollata dell’acqua dolce proveniente da monte con una soprelevazione del normale livello di un paio di metri formando in tal modo una notevole riserva d’acqua dolce sempre presente e sfruttabile per coprire le punte di consumo sia potabile che irriguo.
Il fatto che a Londra ci si sia accorti solo dopo alcuni anni di esercizio effettivo dell’opera che la si poteva sfruttare per un uso suppletivo rispetto a quello originario di progetto, costituisce una importante conferma della validità del progetto a suo tempo redatto dal sottoscritto e nel quale era fin dall’impostazione di base dell’opera prevista, quale sua utilizzazione principale, la costituzione di quella riserva d’acqua che a Londra è stata scoperta, come detto, solamente a posteriori. La conclusione di questa nota porta a considerare attentamente i grandi risultati che si potrebbero ottenere costituendo delle barriere alla foce dei fiumi italiani molti dei quali vi si prestano ottimamente per le loro caratteristiche di grande portata, di alta arginatura e di presenza di vaste golene. Maggiori dettagli possono essere letti nell’articolo prima citato.